Ritorno a Haifa è un romanzo breve, che fa riflettere e che colpisce nel segno. Said, palestinese di Haifa, ritorna con la moglie Safiya nella città che avevano forzatamente abbandonato durante i bombardamenti del 21 aprile 1948, 20 anni prima. Vogliono rivedere la casa in cui vivevano, e dove era rimasto il loro bimbo di 5 mesi.

La casa è ora occupata da Miriam, una ebrea polacca sopravvissuta agli orrori dello sterminio nazista. La donna ha cresciuto il bambino rimasto a Haifa, che è ora un giovane soldato israeliano. All’arrivo a casa del ragazzo, il clima diventa teso. Egli sa di essere stato adottato ed anche che i suoi genitori naturali sono arabi.

Miriam gli presenta Said e Safiya come i suoi “veri” genitori. Qui i sentimenti dei protagonisti sono descritti in maniera mirabile: il silenzio di Miriam, le lacrime di Safiya, la rabbia di Dov, il ragazzo, il tumulto nell’anima di Said. Karafani riesce a trasmettere tristezza, inquietudine, angoscia, senza mai alzare i toni.

Il disagio, in Ritorno a Haifa, è palpabile

Said, seduto nella “sua” casa dove apparentemente nulla è cambiato, riflette su cosa sia la patria e sul fatto che “l’uomo vive per la propria causa, e non per il sangue e la carne ereditati da generazione in generazione.”

E ancora che “il delitto più grave che possa commettere un uomo è quello di credere anche per un solo istante che la debolezza e gli errori degli altri gli diano il diritto di  esistere a spese loro e di giustificare i propri errori e i propri crimini.”

Ghassan Karafani è stato ucciso in un attentato nel 1972 in Libano a soli 36 anni. Ci si chiede quanto ancora avrebbe potuto dare alla politica e alla letteratura se fosse sopravvissuto.

Ringraziamo Marilena, socia di UniAuser Genova e partecipante al corso “Voci dal Mondo Arabo” (maggio 2025) per questa sua recensione del romanzo Ritorno a Haifa, di cui si è discusso a lezione. Scopri i corsi del secondo semestre e partecipa anche tu alle nostre attività!

 

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