Care amiche, cari amici di Uniauser, mentre il 2020 volge al termine, sentiamo ripetere da ogni parte che questo che sta arrivando sarà il Natale più strano, perché non ci sarà permesso di festeggiarlo con amici e parenti. Bene, non è vero. Nel 1684, l’anno del grande bombardamento di Genova da parte di Luigi XIV, si fece esattamente lo stesso: furono proibite perfino le tradizionali visite di auguri al doge e ai componenti delle varie magistrature, dando disposizione che a questo si attenessero anche i privati. 

 

1684, 13 dicembre

Si delibera che per quest’anno non si ricevano ufficii di buone feste nel prossimo Natale a Palazzo, e che di questa deliberatione se ne dia notizia al Minor Consiglio essortando la cittadinanza a prenderne le loro misure anche rispetto a simili ufficii fra privati et magnifici segretarii, Cancellieri et altri ministri o magistrati si astengano parimente dal passar simili ufficii per quest’anno. Per serenissima Collegia ad calculos.

 

Mugugni? Assolutamente no, anzi, il contrario! Il provvedimento venne riproposto successivamente e, nel 1688, ne venne richiesta una nuova applicazione con uno dei “biglietti di calice”, i suggerimenti anonimi che venivano lasciati al Governo dai componenti dei Consigli: 

 

Signori serenissimi,   

fu da tutta città lodato il decreto fatto da VV.Serenissime di non dar le buone feste l’anno passato, così hora si rappresenta a VV.Serenissime l’ordinare l’istesso, essendo un mero invesendo disturbo ad ogni sorte di persona e mera adulatione e inquietudine di non prepararsi bene a ricevere Nostro Signore ne le feste.

 

I genovesi – sempre un po’ stundai – preferivano quindi godersi in santa pace le feste natalizie, senza tutto l’invexendo provocati dalla necessità di presentare (o subire) troppe visite di auguri. 

 

Nella Genova antica le feste natalizie erano essenzialmente religiose, estranee al consumismo che le caratterizza oggi. Il governo compiva poche e mirate azioni di carità, mitigando le pene corporali inflitte ai condannati e concedendo ai carcerati della Malapaga, i debitori insolventi, quelle licenze di uscita che spesso rappresentavano occasioni di fuga, contribuendo a ridurre l’affollamento del carcere. 

 

Esisteva già allora il problema delle ferie: nel 1506 a chiederle è addirittura il podestà, Obertino de Soleri, che desidera «andare a casa e rivedere i suoi cari e celebrare con loro la festività del Natale». 

 

 

Il problema non era cosa da poco, perché il podestà era il magistrato incaricato dell’amministrazione della giustizia e doveva essere uno straniero, di nascita non genovese. La sua assenza sarebbe quindi durata per giorni, in un periodo nel quale reati e delitti non sarebbero certo mancati. Per accordare la licenza richiesta, a titolo straordinario, il Senato decise di nominare come suo luogotenente il giudice del malefici, Giovanni Martino Antina, che avebbe esercitato l’incarico fino al ritorno di Obertino. Un modo creativo di risolvere il problema.

 

Poiché il nuovo anno – secondo il metodo di computo del tempo noto come Stile della Natività – iniziava il giorno di Natale, il Capodanno, festa della circoncisione di Gesù, non veniva festeggiato come ai nostri giorni. Era invece importante l’Epifania, celebrata soprattutto negli stabilimenti commerciali in Oriente, nei quali i componenti di diverse etnie religiose coesistevano pacificamente grazie alla costante attenzione dei genovesi nell’evitare episodi di intolleranza. I registri della contabilità della colonia di Caffa, in Crimea, ci consentono di ricostruire lo svolgimento della festività nel 1466 attraverso le spese per i donativi in denaro, frutta e bevande a tutti i sacerdoti che prendono parte all’evento: i cinque (presumibilmente greci) che cantano callimera dinanzi al Console e alla sua curia durante la vigilia; i sacerdoti armeni che cantano le Laudi; i sacerdoti greci che la mattina dell’Epifania cantano dinanzi al console sulla piazza del Palazzo. Frutta e bevande vengono offerte anche agli addetti alle campane; ai ragazzi e ai marinai che si tuffano in acqua in occasione della benedizione del mare; ad alcuni sacerdoti saraceni. Tra le spese registrate figura anche quella per l’offerta di 4 ceri per la chiesa di S. Maria del bazar.

 

 

Per farvi i miei auguri più cari ho scelto una pergamena “di recupero”, il foglio di un codice del XIV secolo, riutilizzato successivamente per ricoprire il frontalino di una delle filze di documenti dell’Archivio. Il frammento, restaurato attraverso l’iniziativa “Adotta un documento”, proviene da un Antifonario dell’Ufficio e riporta il Secondo Notturno della Notte di Natale. Contiene tre diverse scritture musicali: sul verso è aggiunta in margine l’antifona Orietur in diebus Domini habundantia pacis et dominabitur su tetragramma in neumi lotaringici; sul recto la stessa scrittura non corsiva per l’antifona Liberasti virgam e neumi gotici per l’antifona Esto mihi Domine in Deum protectorem.

 

 

 

La pergamena riporta il testo integrale del Salmo 71 (o 72, secondo altri testi) di Salomone, che canta la gloria del regno di Dio.Personalmente, anche in questo anno così tragico ho molte cose per le quali sento di dover ringraziare l’Onnipotente: se è così anche per voi, vi invito a leggere questo breve testo, con la speranza che sia per tutti noi un augurio di tempi migliori.

O Dio, da’ i tuoi giudizi al re e la tua giustizia al figlio del re;
ed egli giudicherà il tuo popolo con giustizia
e i tuoi poveri con equità!
Portino i monti pace al popolo,
e le colline giustizia!
Egli garantirà il diritto ai miseri del popolo,
salverà i figli del bisognoso,
e annienterà l’oppressore!
Ti temeranno finché duri il sole,
finché duri la luna, di epoca in epoca!
Egli scenderà come pioggia sul prato falciato,
come acquazzone che bagna la terra.
Nei suoi giorni il giusto fiorirà
e vi sarà abbondanza di pace finché non vi sia più luna.

Egli dominerà da un mare all’altro
e dal fiume fino all’estremità della terra.
Davanti a lui s’inchineranno gli abitanti del deserto,
i suoi nemici morderanno la polvere.
I re di Tarsis e delle isole gli pagheranno il tributo,
i re di Seba e di Saba gli offriranno doni;
tutti i re gli si prostreranno davanti,
tutte le nazioni lo serviranno.
Poich’egli libererà il bisognoso che grida
e il misero che non ha chi l’aiuti.
Egli avrà compassione dell’infelice e del bisognoso
e salverà l’anima dei poveri.
Riscatterà le loro anime dall’oppressione e dalla violenza 

e il loro sangue sarà prezioso ai suoi occhi.
Egli vivrà; e a lui sarà dato oro di Seba,
la gente pregherà per lui tutto il giorno, lo benedirà sempre.
Vi sarà abbondanza di grano nel paese, sulle cime dei monti.
Ondeggeranno le spighe come fanno gli alberi del Libano
e gli abitanti delle città fioriranno come l’erba della terra.
Il suo nome durerà in eterno,
il suo nome si conserverà quanto il sole;
gli uomini si benediranno a vicenda in lui,
tutte le nazioni lo proclameranno beato.
Sia benedetto Dio, il Signore,
il Dio d’Israele,
egli solo opera prodigi!
Sia benedetto in eterno il suo nome glorioso
e tutta la terra sia piena della sua gloria!
Amen! Amen!

I miei più cari auguri di un sereno Natale.

Giustina Olgiati