“Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone
Recensione di Beppe Orlando
La cronaca
Il 25 giugno del 1965 a Roma viene abbandonata una bimba di appena otto mesi e due corpi senza vita emergono dal Tevere. A collegare i due eventi una lettera spedita all’ Unità.
Il libro
“Dove non mi hai portata” va oltre la meticolosa ricostruzione documentale e giornalistica di un fatto di cronaca. Attraverso quello che definisce, “un sistema matematico di sentimento e pensiero”, l’autrice si cimenta con successo, grazie alla notevole padronanza del registro poetico, nel tentativo quasi magico di instillare, alla stregua di un creatore, il soffio vitale nei pochi resti di colei che l’ha voluta e poi abbandonata dopo soli otto mesi, prima di “pagare con la vita ciò che, come lascerà scritto, è stato fatto o indovinato o sbagliato”.
Lo svelamento di ciò che accadde e di quanto lo precedette segue costantemente un duplice binario: raccontare il mistero senza deragliare dalla realtà. Grazie alla profondità di un linguaggio poetico che si fa quasi metafisico quando si accompagna alla logica del ragionamento, la Calandrone, partendo dai fatti li attraversa andando al di là degli stessi per ricostruire la sfera emozionale ed il contesto sociale che hanno scandito la breve vita di Lucia.
Dopo una prima parte del libro nella quale prevale il lirismo della vita “agra” a Palata, in Molise, della piccola Lucia, nata nel 1936 e accompagnata nella crescita da codici e ruoli immutabili, gli stessi che qualche anno dopo le chiederanno conto dell’esser donna, segue una seconda parte più intensa ma forse un po’ meno scorrevole, dove prevale la ricostruzione documentale. Una ricostruzione che ci racconta del rifiuto, dell’adulterio e della fuga al nord in un esilio al quale si condanna una coraggiosa Lucia, diventata madre, ma soprattutto di quanto avvenne realmente a Roma quel fatidico giorno di giugno del 65, il giorno dell’addio, “un lasciarsi andare all’acqua, simile al destino”e dell’ “abbandono del corpo della figlia dentro il tempo ..”.
Nel ricostruire un cordone sentimentale con la madre biologica, l’autrice si muove in uno spettro più ampio rispetto alla sfera personale, allargando il raggio d’azione della sua indagine ad attori impersonali che dallo sfondo immateriale della Storia prendono vita assurgendo al ruolo di veri protagonisti. Solo considerando il contesto storico, infatti, l’autrice riesce a dare un senso più alto ad un atto d’amore come questo libro che diventa, così, inevitabilmente, anche risarcimento morale e riscatto politico.